La riforma costituzionale e la questione della democrazia

Sul numero 5 di Rocca, rivista quindicinale della Pro Civitate Christiana (1 marzo 2016) è apparso questo contributo dell'aronese prof. Giannino Piana al dibattito in corso sulla riforma costituzionale.

La riforma costituzionale e la questione della democrazia
L’interessante (e acceso) dibattito in corso sulle pagine di questa rivista a proposito della riforma costituzionale voluta dal Governo e in via di approvazione definitiva in Parlamento, ha visto – come è giusto – il confronto tra posizioni diverse, talora decisamente contrapposte, a favore o contro il progetto di cambiamento in esame, che verrà sottoposto, a sua volta, al giudizio popolare nel prossimo autunno attraverso il referendum. Tra le obiezioni, che ricorrono da parte di chi giudica negativamente il progetto, la più rilevante è l’affermazione che l’approvazione della riforma comporterebbe un tradimento radicale della nostra Costituzione e finirebbe per creare un vero e proprio vulnus alla democrazia.
L’accusa è grave e merita di essere presa in seria considerazione. Il ricorso agli esperti di settore non è risolutivo: costituzionalisti, e giuristi in genere, sono tra loro divisi, e non sono pertanto in grado di fornire soluzioni univoche. D’altra parte, i temi implicati nella riforma non possono (e non devono) essere lasciati alla sola autorevolezza degli esperti. Il necessario passaggio attraverso il referendum esige una riflessione allargata, che, oltre a coinvolgere le varie competenze specialistiche, chiami in causa l’esperienza civile di ogni cittadino. 

Esiste il rischio dell’autoritarismo?
E’ dunque importante, al di là di un approccio tecnico ai singoli aspetti del progetto, frutto peraltro di un compromesso tra posizioni diverse, cercare di coglierne il significato complessivo, in ordine al concreto esercizio della democrazia. La ragione di fondo dell’obiezione che muovono, con toni allarmati (qualche volta apocalittici), coloro che denunciano il pericolo della riforma per la democrazia è che ad essere fortemente ridimensionato è il ruolo dei cittadini – questo anche a causa della nuova legge elettorale (che in verità non fa parte della riforma costituzionale, pur non essendo da essa del tutto scorporabile) – e quello degli organismi rappresentativi della società, in particolare del Parlamento. 
E’ fuori dubbio che la democrazia – come cantava a suo tempo Giorgio Gaber – è anzitutto “partecipazione”, ma si deve subito aggiungere che è anche governabilità, possibilità e capacità di decisione e di azione. Si tratta dunque di trovare un equilibrio tra queste due istanze, non dimenticando che gli attentati alla democrazia si consumano sia quando si riduce drasticamente lo spazio partecipativo sia quando si paralizza l’attività governativa e parlamentare per un eccesso di apertura partecipativa. Che il sistema Italia soffra da tempo di quest’ultimo male è provato dal fatto che negli ultimi trent’anni si sono succedute ben cinque Commissioni parlamentari, purtroppo mai giunte ad alcun risultato (ultima quella presieduta da D’Alema), che avevano come obiettivo la riforma della Costituzione nelle parti relative ai rapporti tra Governo e Parlamento e in quelle riguardanti la struttura e i poteri dello stesso Parlamento. 
Ad essere, in primo luogo, messo sotto processo, in tali circostanze, dalle diverse aree politiche era il bicameralismo perfetto, che oltre a rallentare di molto l’attività parlamentare e a far correre il rischio di leggi che, per l’andirivieni tra i due rami del Parlamento, finiscono per risultare spesso farraginose e qualitativamente scadenti, aveva anche effetti paralizzanti per l’attività di Governo. Attività quest’ultima – si deve aggiungere – che, persistendo per lungo tempo un sistema elettorale assai discutibile come il Porcellum (peraltro bocciato dalla Corte Costituzionale) veniva ulteriormente minata nella sua stabilità ed efficacia: non è senza significato, a tale riguardo, che il numero dei governi, succedutisi in Italia dall’ultimo dopoguerra ad oggi, sia stato circa il doppio di quelli che hanno retto, nello stesso periodo, la Germania.
Bicameralismo perfetto e proporzionalismo puro erano dunque considerati i due principali bersagli di una riforma volta a rendere più agile il lavoro delle istituzioni, favorendo, attraverso lo snellimento delle procedure, interventi più progettuali (perché programmabili in tempi lunghi) e insieme più tempestivi e più capaci di affrontare le situazioni emergenti. Non è questo l’obiettivo che da tempo ci si proponeva di raggiungere attraverso le riforme costituzionali ed istituzionali, nella convinzione che tutto ciò che concorre al miglior funzionamento delle istituzioni non può che favorire il consolidamento della democrazia?

Valori e limiti della proposta
E’ dunque anzitutto importante sottolineare la bontà del fine perseguito – cosa che non sempre è presente negli interventi di chi si oppone alla riforma – anche se questo non comporta automaticamente riconoscimento della bontà dell’intera operazione in tutte le sue parti. Se il fine ha infatti il primato (e non può che averlo), non si può tuttavia sottovalutare l’importanza del mezzo (o dei mezzi) adottati per perseguirlo. Le opzioni fatte sono, a tale proposito, opinabili (non esiste e non può esistere del resto a tale proposito una soluzione ottimale) e meriterebbero una valutazione analitica che non può essere qui offerta. Si tratta di regole e di procedure, che hanno il compito di definire con precisione i delicati equilibri tra i poteri e di individuare forme corrette di mediazione tra partecipazione e governabilità. 
Senza entrare dunque nel merito dei singoli aspetti della riforma, si possono senz’altro rilevare una serie di limiti che riguardano tanto la composizione di alcuni istituti quanto le loro funzioni o, anche, la partecipazione dei cittadini alla scelta di coloro che dovranno in essi rappresentarli. Emblematico è il caso del nuovo Senato, dove il compromesso raggiunto tanto a riguardo della composizione dell’assemblea che del meccanismo che conduce alla designazione dei propri componenti, risulta macchinoso e problematico. Analogamente problematica è la percentuale prevista dalla legge elettorale (che tuttavia – come già si è detto – non tocca direttamente la riforma costituzionale) per accedere, al primo turno, al premio di maggioranza. La critica potrebbe estendersi poi anche ad altri dispositivi, non sempre perfettamente adeguati a interpretare le esigenze di un buon funzionamento delle istituzioni. 
Nonostante queste riserve, pur importanti, non si può tuttavia negare che il risultato cui si è pervenuti in circa due anni di lavoro parlamentare, sia di commissione che di aula, costituisca, nell’insieme, un deciso passo avanti rispetto alla situazione precedente, in quanto le nuove regole conferiscono maggiore speditezza ed efficacia all’attività parlamentare e di governo, contribuendo in questo modo a rafforzare la democrazia. Si deve aggiungere inoltre che un pregio non secondario dell’attuale disciplina sta nel fatto che, attraverso di essa, si realizza un allineamento del nostro Paese ai modelli europei, in nessuno dei quali vige il bicameralismo perfetto e dove – ritorna il riferimento alla legge elettorale – , pur nella varietà dei sistemi in vigore, sussistono modalità di designazione della rappresentanza parlamentare, che tendono a favorire la governabilità, o mediante il ricorso al doppio turno o mediante l’assegnazione del premio di maggioranza al partito o alla coalizione vincente. Non si può certo dire che Paesi come la Germania o la Francia o l’Inghilterra, per non citare che i più importanti, dove non sussistono le garanzie esistenti da noi – garanzie che, come si è ricordato, sono spesso un intralcio per l’azione parlamentare e di governo – siano Paesi non democratici. 
Il profondo rispetto dovuto alla Costituzione non deve indurci ad ignorare che essa è nata quasi settant'anni fa in un clima profondamente diverso dall'attuale, e che il garantismo estremo di allora, dovuto all'uscita dal periodo buio della dittatura fascista, e dunque dal timore di poter incorrere in analoghe esperienze, non può (e non deve) essere riproposto pari pari oggi in un contesto radicalmente mutato nel quale il ricupero di credibilità della politica passa, oltre che attraverso un profondo rinnovamento morale, attraverso interventi efficaci di promozione del bene comune.

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